Apprendere dagli errori: uno dei segreti del miglioramento

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“Senza Hansei (riconoscere i propri errori), non è possibile ottenere il kaizen (miglioramento).”
Tadashi Yamashina.

Fallire non piace a nessuno, ma accade. La caratteristica forse più insidiosa di ciò che chiamiamo comunemente errore è la sua apparente irriconoscibilità. Commettiamo errori proprio perché non siamo in grado di riconoscerli in anticipo, altrimenti semplicemente non li commetteremmo. Vi è però una grande differenza tra il saper riconoscere i propri errori e imparare da essi o ignorarli e negarli cercando giustificazioni o, peggio, colpevoli. 

Apprendere dagli errori richiede tre step: Il primo è accorgersi del problema, il secondo è studiare come superarlo, il terzo, è fare tesoro della lezione appresa. La chiave fondamentale è la domanda.

Sapersi porre domande, imparare a porsi domande migliori, permette di spostare la propria attenzione dal compito (obiettivo) alla procedura, al metodo, e, non meno importante, alla relazione con gli altri. Per farlo, però, sono necessarie un po’ di introspezione e l’umiltà, in modo da non stigmatizzare l’errore e trasformarlo in risorsa:

  • Seguire una indagine che sia contemporaneamente di tipo diagnostico e sistemico, così da ricavare informazioni complete. Le domande di tipo diagnostico sono orientate alla comprensione e analisi del problema, facendo emergere i fattori e le dinamiche che hanno contribuito al manifestarsi dell’errore. Le domande sistemiche sono orientate a trovare soluzioni. Sono domande aperte, che introducono ipotesi, allargano l’orizzonte, lasciano spazio alle idee. Ad esempio, chiedersi come mai è accaduto, quale potrebbe essere la causa,  quando si è manifestato l’errore sono domande di tipo diagnostico, mentre chiedersi come ci si è sentiti a riguardo, cosa si è fatto a riguardo, cosa si intende fare adesso, sono domande di tipo sistemico che orientano a una prima prossima azione orientata al miglioramento.
  • Avere l’umiltà di accogliere nella conversazione con se stessi o con gli altri l’aspetto emotivo, ponendo domande che permettano di esplorare sentimenti e reazioni. Ciò consente di accettare di essere portatori di fattori di vulnerabilità e successivamente capire come fortificare questi punti deboli al fine di poter crescere e rafforzare le proprie competenze.

Riconoscere gli errori assume un significato più ampio e rilevante se applicato ad attività di miglioramento continuo. Infatti, un’azienda che fonda la sua cultura sul miglioramento continuo,  riconosce l’errore come occasione di crescita e innovazione. Ciò comporta la capacità di attivare riunioni sistematiche dove, qualsiasi sia il problema, si seguono alcuni step: 

  • Identificare tutti i suggerimenti e osservazioni utili.
  • Documentare le info raccolte e condividerle con il team. 
  • Analizzare e organizzare quanto appreso in un report.
  • Conservare la documentazione per progetti futuri o per altri team.

In questo modo si esce dall’ottica che se non si è vincenti, allora si è conseguentemente dei perdenti, per crescere nella cooperazione e nella comprensione. Un team che sa imparare dagli errori, infatti, diventa più resiliente, motivato, flessibile e creativo. L’errore perde allora la sua connotazione negativa, giudicante, e noi possiamo ritrovare la freschezza e la leggerezza che spesso dimentichiamo nel lavoro e con noi stessi. Leggerezza che non vuol dire superficialità, anzi, significa crescere nell’eccellenza perché ci si prende tanta cura del processo, non solo del risultato. Concludendo, l’arte del fare (buone) domande è l’arte del promuovere il cambiamento.

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